Silvia Nicolis (Museo Nicolis): “Noi, nella Città dei Motori”

 

di Roberta Pasero

Chiuso per Covid-19. Perché non basta un’autorizzazione del Governo per riaprire un museo come se nulla fosse accaduto. Come se fosse già realmente cominciato il futuro. “Un futuro che al momento per noi ancora non c’è. Forse inizierà a luglio, forse dopo l’estate, quando tornerà il turismo e magari anche le scuole. Oggi apriamo soltanto su prenotazione se abbiamo richieste di gruppi. Altrimenti approfittiamo di questi mesi per creare una nuova idea di museo. Che sia laboratorio di creatività e bottega digitale”.

Una vera chiamata alle arti per Silvia Nicolis, presidente del Museo appassionatamente voluto da suo papà, Luciano, a Villafranca di Verona, e diventato in 20 anni una delle eccellenze italiane private italiane: qui in 6.000 metri quadrati e lungo un chilometro di percorso è possibile ripercorrere la storia del motorismo. Auto, moto, biciclette, aerei e tanto altro, dal primo motore a scoppio a benzina ai più bei modelli da collezione.

Un museo rimandato a data da destinarsi. Da dove ripartirà, quando sarà?
“Connettendolo con il territorio. Con didattica a distanza e itinerari dedicati in modo che il nostro museo dialoghi con le bellezze turistiche, artistiche, geografiche, culturali della nostra regione. Un museo che, tra l’altro, si trova a Villafranca di Verona, Città dei Motori, uno dei 25 Comuni italiani che hanno nel loro territorio una vocazione motoristica”.

Che impressione le fa girare in un museo pieno di oggetti bellissimi, ma vuoto di visitatori?
“Non vorrei essere fraintesa, ma per me che considero questo museo la mia casa è una sensazione piacevole. In questi mesi ho fatto tantissime riflessioni “parlando” con le automobili esposte che ho guardato finalmente in modo meno distratto, riscoprendo aneddoti sui pezzi e sul periodo che rappresentano anche per rispondere alle domande che i followers hanno continuato a farmi attraverso i social”.

Per voi non c’è stato dunque un lockdown creativo. Cosa le chiedono i visitatori virtuali?
“Sono interessati a leggere l’automobile come manifesto di un’epoca. Ma anche alla storia del fondatore, mio padre, un uomo che nel Dopoguerra aveva inventato il lavoro della raccolta della carta da riciclare e intanto raccoglieva e comprava le macchine che gli altri buttavano via, proprio per recuperare l’ingegno dell’uomo. In tanti si sono interessati a una case history aziendale nel quale si sono identificati, forse proprio perché questo periodo viene paragonato a quello del Dopoguerra”.

Come vive un museo privato come il suo?
“Ho sempre lavorato al 70% con gli stranieri e il resto con gli eventi business. Per questo, adesso bisogna ragionare sulla cultura dell’accoglienza. In 20 anni, io ho sempre tenuto aperto il museo, in pratica tutti i giorni dell’anno, e adesso spero che il Covid-19 ci abbia fatto riscoprire l’essenziale, come essenziale è proprio la cultura”.

Cosa le ricorda il periodo che stiamo attraversando?
“Gli anni Venti, un’epoca che amo profondamente perché è quella in cui emerge l’ingegno dell’uomo, ma anche l’arte, la creatività, la classe, l’eleganza, valori che per me rimangono di riferimento ancora oggi. Io quando guardo una vettura degli anni Venti vedo proprio l’apice delle arti e dei mestieri, di quello che l’uomo ha saputo fare solo con la sua testa e con le sue mani, con attitudine e impegno, senza supporto tecnologico, con la sola applicazione delle nostre capacità”.

Soltanto apparentemente l’esatto opposto di oggi.
“Esatto. In realtà, oggi come allora, è tempo per tutti noi di rimettersi in gioco, anche facendo sacrifici, per uscire dalla crisi e realizzare cose magnifiche. Cominciando a investire nel bello e nel nostro domani”.

 

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