Rinascita Isotta Fraschini: corsi e ricorsi, luci e ombre (Parte I)

di Riccardo Bellumori

Lo ammetto: ogni qual volta si preannuncia il ritorno di un celebre marchio automobilistico dal glorioso passato mi batte il cuore. Fu così dalla prima volta che lessi della rinascita della Bugatti. È stato così – in modo ovviamente diverso – anche con “Mini”, con la lontana Borgward in Cina, e più di recente con il progetto Iso Rivolta “Vision”. Ed è forse proprio per questo che io volli fortemente, cinque anni fa, rischiare direttamente ed essere inserito a mia volta “sul campo” di un progetto di rinascita che – se si fosse operato diversamente – sarebbe già da oggi realtà: quello della Cisitalia.

Ma se parliamo di Isotta Fraschini, solo a nominarla viene la pelle d’oca. Perché? Perché siamo oggi nel centenario da quel 1919 in cui il marchio fondato da Cesare Isotta e dai fratelli Fraschini mise in commercio il primo 8 cilindri di grande serie al mondo.

Perché Isotta Fraschini in Italia fu tanto importante da meritare una legge “ad personam” – la legge Gazzera – che causò il primo di tanti “buchi nell’acqua” subiti dalla Ford nei suoi numerosi tentativi di controllo di marchi italiani: dopo la crisi del 1929, Isotta Fraschini aveva bisogno di un socio fortissimo, ma l’interesse diretto di Ford fu contrastato politicamente fino alla promulgazione di questa legge in base alla quale senza il preventivo consenso del ministero della Guerra nessun ingresso di capitali esteri sarebbe stato consentito.

Ma solo 10 anni prima di quel 1929 la Isotta “Tipo 8” affrontava alla pari Hispano Suiza, Rolls-Royce e pochissime altre nell’Olimpo dei Marchi più bramati da principi, Sultani, aristocratici e potenti del mondo: all’epoca auto del genere finivano dalla fabbrica agli allestitori per la definizione nella forma più lussuosa possibile, e dunque con 150.000 Lire del 1919 (230.000 euro circa di valuta attuale) il fortunato acquirente della “T8” in realtà comprava “solo” chassis e motore……

Isotta: diva travagliata

Isotta Fraschini fu grande non solo per la sua notorietà e capacità industriale (Isotta Fraschini non fu solo auto ma anche camion, pullman, attività navali ed aeronautiche); ma anche per la drammaticità degli eventi che legano questo nome alle alterne vicende storiche accadute dal Dopoguerra. A partire dal 1948, quando in procinto di far uscire l’ammiraglia “V8 Monterosa” a motore posteriore (un capolavoro, se confrontato con qullo pseudo mito della Tucker, più famosa forse solo perché la sua leggenda nasce negli Usa…), il sogno si sgretola: il 25 febbraio 1948 il “Fondo per il finanziamento dell’Industria Meccanica” manda in amministrazione controllata Isotta Fraschini chiudendola del tutto nel 1949. Curioso: il 28 febbraio 1949 Cisitalia – un anno dopo la Isotta Fraschini – iniziò l’amministrazione controllata a sua volta. Strane e tristi coincidenze. Di certo rimangono – per quella straordinaria storia – solo cinque esemplari della “Monterosa” allestiti nella Carrozzeria “Touring Superleggera” di Milano.

Anni Novanta: ritorna il sogno. Tale rimane…

Chiusa la produzione automobilistica, la Isotta Fraschini rimase una realtà industriale – praticamente del tutto a guida pubblica – attiva nella subfornitura del comparto ferroviario, energetico, e ovviamente navale, passando da Efim, Finmeccanica, Iri, e poi a Fincantieri che nel 1993 ne cedette i diritti (automobilistici) sul marchio alla Rayton Fissore di Giuliano Malvino che da firma di design si era pian piano assestata a fornitore industriale pubblico, consegnando  tra tutte le sue famose “Magnum 4×4” alla Polizia di Stato e alla Pubblica Amministrazione. “Quella” Isotta Fraschini, aperte le sue ali nel 1993, le chiude drammaticamente alla data del 30 marzo 2000, quando le Fiamme Gialle misero i sigilli allo storico Stabilimento “IF” di Gioia Tauro passato dalla OTOBreda Sud, di cui amministratore era lo stesso Giuliano Malvino, alla Fissore S.r.l.

Se non fosse per l’opera creativa del geniale designer Tom Tjaarda (grazie anche al supporto di un validissimo designer, come Pierluigi Porta) la storia che racconto potrebbe essere mutuata da un vecchio servizio di “Report” (Rai Tre) che riassumeva perfettamente la perdita del denaro erogato a titolo di Legge 488/92 – che come il famoso “contratto d’area” – costituiva all’epoca la calamita per attrarre nella zona di Gioia Tauro investimenti produttivi.

Rimane invece, di questa storia maledetta la creazione delle interessanti “Isotta T8” e “T12”. Non posso definirle irresistibili, ma visti i limiti industriali (ci si limitò a lavorare alla fine su piattaforme Audi Coupé Cabriolet con telaio rivisto su fanali e luci, interni e mascherina modificati e motori Audi e Ford Mustang sotto al cofano) il risultato non fu malvagio. Altro discorso, ma qui siamo alle pure disquisizioni, sarebbe valso per il successo commerciale prevedibile per una “rielaborazione” Audi – pur con un marchio celebre sul cofano – prevista in vendita a oltre 100 milioni di vecchie lire (rivalutate pari ad 89.000,00 euro di oggi): chi può e vuole vada a vedere cosa i ricchi appassionati di auto avrebbero potuto acquistare con poco più di 100 milioni di lire in quell’epoca.

Solo questo basterebbe, volendo, a formare una corretta opinione sull’eventuale successo che avrebbe avuto la nuova avventura commerciale della “Isotta Fraschini” by Malvino. Alla mia memoria resta la percezione che per la colpevole leggerezza di esponenti governativi e comunitari delegati alla istruttoria sul finanziamento e sulla valutazione del piano industriale, quei due prototipi Isotta hanno valso l’erogazione di almeno 20 miliardi di vecchie lire. Sì, avete capito bene: un caso industriale di quel genere, oltre ad aver messo a repentaglio un marchio storico (posto all’asta successivamente ed acquisito nel 2003 da Gianfranco Castiglioni, ex papà della Cagiva), costò circa 18 milioni di euro attuali.

L’acquisto all’asta, nel maggio 2003, dei diritti – da parte di Castiglioni – su marchio, disegni industriali e su alcuni esemplari di modelli storici di proprietà Isotta spostò conseguentemente la sede legale della “Isotta Fraschini S.r.l.” a Spoleto (Perugia), più precisamente in via dei Mestieri, Località Santo Chiodo. Un nuovo piccolo canto del cigno, poiché il fratello del più celebre Claudio (il geniale Patron che fece grande la Cagiva e riportò alla luce la MV Agusta) ebbe una serie di problemi.

Da questo frangente, a seguito della procedura iniziata il 7 luglio del 2014 presso la Sezione Fallimentare del Tribunale di Spoleto con la dichiarazione di stato di insolvenza, l’unica laconica trascrizione che si può reperire da “Google” sui diritti del marchio si legge sulla piattaforma “vitadistile.com (a firma Antonio Iafelice) che riporto testualmente: “Attualmente i diritti sul marchio sono nelle mani di un gruppo di economisti e imprenditori italiani che hanno dato vita a una nuova società col nome di Isotta Fraschini Milano”.

Bene: io ripartirei per la seconda parte da qua, perché il “dopo Castiglioni” che io ricordo è decisamente frastagliato. E, vi preannuncio, nel mezzo del 2015 io stesso posso dire di aver sentito da un interlocutore presentatomi da amici comuni – con le mie orecchie che una ipotetica “Isotta Fraschini” 100% elettrica sarebbe nata, seppur al di fuori dell’Italia, in Croazia. Curioso, vero? Aspettate il seguito…

 

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