L’Italia apra gli occhi sui Paesi confinanti

di Paolo Uggé*

Ci sono situazioni di fronte alle quali appare impossibile non porsi precise domande. Un esempio? È possibile che non si riesca a comprendere come l’obiettivo dei Paesi confinanti con l’Italia sia sempre stato, nella gran parte dei casi, quello di rendere meno competitivi i prodotti realizzati o trasformati lungo lo Stivale? È davvero possibile restare ciechi di fronte a iniziative che sono sempre avvenute in passato e che in questi ultimi tempi stanno pericolosamente aumentando?

Per anni i Paesi situati ai confini hanno operato, prima con il sistema delle autorizzazioni, poi con gli eco punti e il protocollo delle Alpi, per penalizzare il sistema produttivo nazionale, con la colpevole complicità di chi ha governato. Come è possibile che l’Italia continui ad assistere, senza fiatare, a battaglie pseudoambientaliste che stanno bloccando la Tav e il Brennero, due vie d’uscita indispensabili per dotare l’Europa di reti di comunicazione? E come si può con comprendere quale devastante “effetto boomerang” sulla nostra economia potranno avere (tra ostilità al Terzo valico e le sempre più necessarie opere di manutenzione del Bianco e Frejus) le sempre più numerose iniziative che puntano a penalizzare i prodotti nazionali con l’introduzione di ostacoli alla libera circolazione delle merci?

Il governo non può più tacere e continuare così ad aggravare una situazione che hanno contribuito a creare in questi anni le varie maggioranze che si sono alternate alla guida del Paese. Lo dimostra la “storia”: il protocollo trasporti delle Alpi è stato sottoscritto nel 2000 con il ministro Pierluigi Bersani, ma chi non ha rivendicato uno dei punti fondamentali sul quale è costruito il mercato europeo sono gli ultimi esecutivi. Non basta la Road Alliance, sottoscritta per l’Italia dal ministro Graziano Delrio e confermata dal ministro in carica, per tutelare il “Sistema Italia”.

Quello che viene messo a rischio è la libera circolazione delle merci, principio che vieta di frapporre ostacoli, per raggiungere i mercati centrali, ai Paesi periferici. Ostacoli che vengono invece “posizionati” di volta in volta adottando teorie differenti: da quella dell’inquinamento per rallentare se non bloccare il passaggio dei veicoli pesanti, a quella, ora, del “volume di traffico”. Che questi tentativi siano illegittimi lo prova il numero dei richiami, se non di sentenze, che la Corte di giustizia europea, anche se con tempi lunghi, ha emanato ogni qual volta Italia, e talvolta anche Germania, hanno contestato le misure di rallentamento messe in atto dal governo austriaco.

Richiami e sentenze basati su fatti, non chiacchiere. Come, per esempio, il fatto che il tema dell’ambiente è diventato sempre meno “giustificabile” in quanto le motorizzazioni evolute dei tir di nuova generazione hanno ridotto notevolmente le sostanze inquinanti. Non solo: secondo le statistiche che l’Autobrennero ha reso note, i maggiori inquinatori (60 per cento circa) sono i veicoli leggeri. Inoltre i ritardi registrati per il traforo del Brennero non sono imputabili all’Italia. Ecco allora, di fronte all’evidenza dei fatti, una nuova invenzione: l’introduzione di un filtraggio degli automezzi pesanti, ideata approfittando di quanto verificatosi in occasione di abbondanti nevicate.

Premesso che l’Autostrada del Brennero è utilizzata prevalentemente da automezzi di nazionalità europea e che la decisione del dosaggio si scaricherebbe sulle regioni vicine che subirebbero le conseguenze, la vera ragione che determina la concentrazione dei veicoli pesanti non verrebbe eliminata. Già, perché la “vera ragione” è la riduzione del numero delle giornate nelle quali si circola liberamente, perché sono questi limiti a determinare gli incolonnamenti. Riducendo le giornate di circolazione la quota di traffico giornaliera incrementa e determina gli intralci che si verificano ogni fine settimana per la chiusura del venerdì notte e del sabato mattina.

Il dubbio che l’ultima invenzione sia una scusa per ottenere l’incremento dei pedaggi e rinviare opere ipotizzate si insinua sempre più forte, almeno nella testa di chi è abituato a usarla non solo come supporto per il cappello. Il tempo passa implacabile e intanto, se le limitazioni aumentano, le esportazioni del Paese e l’economia nazionale soffrono sempre più. Possibile che non si comprenda, come sostenuto da economisti del calibro dei professori Alberto Alesina, docente ad Harvard, e Francesco Giavazzi, con cattedra alla Bocconi, che se crolla l’esportazione l’economia andrà in recessione? La nuova emergenza per l’Italia diverrà presto quella dei collegamenti alpini.

*Vicepresidente di Conftrasporto e Confcommercio

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