La scommessa vinta dalle Case coreane

 di Pier Luigi del Viscovo*

Esattamente 6 anni fa Martin Winterkorn, allora capo del Gruppo Volkswagen, si recò presso lo stand Hyundai al Salone di Francoforte per esaminare e apprezzare la qualità della i30, rivale della Golf, facendo un endorsement alla manifattura industriale del gruppo coreano. Era giustamente preoccupato perché era appena entrato in vigore, il 1° luglio 2011, il Free Trade Agreement tra l’Ue e la Corea del Sud, che prevedeva la graduale scomparsa dei dazi sulle vetture importate (e sul 98% dei prodotti oggetto di import/export tra i due Paesi).

 

Dietro la strategia

Come abbiano sfruttato la maggior competitività doganale i due brand</CF> del gruppo, Kia e Hyundai, lo abbiamo chiesto ai rispettivi amministratori delegati in Italia, Giuseppe Bitti e Andrea Crespi.

«Le auto coreane avevano un posizionamento value-for-money – dice Bitti (Kia Motors Italia) – che le rendeva molto appetibili, nonostante il dazio del 10%. Negli anni, abbiamo elevato sia la qualità tecnologica del prodotto sia il design. Ciò ha comportato un innalzamento del costo della produzione, che però abbiamo compensato con la graduale scomparsa delle tariffe. Portare il brand via dal posizionamento value-for-money è ciò che stiamo facendo. È più facile su prodotti iconici, come lo Sportage che è ormai alla 4ª generazione. Ma ormai siamo percepiti in linea con gli altri brand generalisti europei. Nei prossimi anni avremo tutta la gamma disponibile con propulsori ibridi e questo farà la differenza, innalzando ancora la percezione del marchio, soprattutto presso la clientela più sofisticata».

Passando a Hyundai, vediamo che questo brand dal 2011 al 2016, secondo l’analisi del Centro studi Fleet&Mobility, ha incrementato la sua quota di mercato più in valore (+0.7 pp) che in volume (+0.6 pp), grazie a una politica che ha spinto sui modelli di fascia medio-alta. Infatti, dall’analisi emerge anche che il prezzo medio (a listino, inclusa l’Iva ma senza optional) delle auto vendute nel 2016 è stato di 20.890 euro, a un livello dell’88% rispetto alla media del mercato, mentre nel 2011 il valore fu 17.542 euro, l’81% della media mercato. La crescita di questo indice è stata nei 5 anni superiore al 19%, mentre il mercato ha segnato un incremento del valore medio inferiore al 10%.

 

Cosa ha fatto la differenza

La strategia ce l’ha confermata Crespi (Hyundai Motor Company Italia): «Abbiamo rinnovato la gamma puntando molto sulla tecnologia e sul design, non solo sulla fascia bassa, ma anche su modelli come Tucson. Questo ha permesso alla rete di crescere non solo in volume, ma anche di attirare una clientela più elevata, che ha reso il business più sostenibile e consente al concessionario di offrire servizi sempre migliori». In conclusione, la politica del gruppo è stata molto lungimirante: sfruttare il maggior margine sulle vendite derivante dalla scomparsa delle tariffe non per aggredire il mercato europeo con prezzi sempre più bassi, bensì per sopportare costi di produzione crescenti derivanti da una qualità e un design sempre maggiori. Esattamente il contrario di certe miopi filosofie low cost.. Propria una bella lezione.

 

*Centro studi Fleet&Mobility

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