La filiera unita al “Dealer Day” per dettare le regole e contro l’ideologia

Ben venga la conferenza stampa che Anfia, Unrae e Federauto faranno al “Dealer Day” di Verona, il 14 maggio, proprio denunciare pubblicamente la situazione di grave difficoltà in cui si dibatte il settore. La filiera automotive unita rappresenta un’arma importante con una bocca di fuoco di tutto rispetto, forte anche del supporto delle altre associazioni tutte interessate affinché ci sia rapidamente un’inversione di tendenza e, soprattutto, l’ascolto dei problemi reali da risolvere da parte delle istituzioni.

La situazione italiana è paradossale: le amministrazioni locali e lo stesso governo sanno bene (o almeno si spera) che il parco veicoli del Paese è giunto da anni al capolinea. Per tutta risposta, invece di pensare a provvedimenti capaci di favorire nel più breve tempo possibile, la sostituzione delle autovetture più datate, quindi maggiormente inquinanti e per nulla sicure, le istituzioni ricorrono a iniziative dettate dalla pura ideologia, senza tenere conto delle reali esigenze del mercato ma, soprattutto, della salute pubblica.


Nelle grandi città, in proposito, si ricorre alla limitazione del traffico ai veicoli con le omologazioni più vecchie: un modo per spostare il problema da un punto (le aree interessate ai divieti, quelle centrali e limitrofe) all’altro, dividendo in questo modo i cittadini in quelli di “serie A”, privilegiati perché l’aria che respirano sarebbe più pulita, e quelli di “serie B”, sulla carta i più sfortunati e lasciati al loro destino. E’ come se si potesse, per magia, suddividere una superficie molto estesa in blocchi: da qui a lì aria di montagna, per la parte restante sono problemi di chi ci abita.


Come si vede, l’ideologia finisce per arrecare solo danni, anche sotto l’aspetto economico e occupazionale, creare seri problemi a chi deve spostarsi da un capo all’altro della città o ci deve entrare per motivi di lavoro, e non ha la possibilità di sostituire il furgone con il quale viaggia da anni.
A livello nazionale, invece, si decidono norme spot, per non dire inutili, allo scopo di premiare chi vuole acquistare una macchina elettrica nel momento in cui le infrastrutture di ricarica risultano ancora abbondantemente insufficienti e i veicoli in questioni hanno un listino molto caro.

In pratica, quello che è stato deciso (il piano degli “ecobonus”) può essere paragonato alla volontà di costruire un edificio partendo però dal tetto. Ma è poi vero che le auto elettriche sono veramente a zero emissioni in tutto e per tutto? E per quale ragione il diesel è stato messo al bando senza prova di appello, nonostante i motori di ultima generazione abbiano drasticamente ridotto le emissioni, in particolare quelle di CO2, il nemico numero uno da abbattere secondo l’Unione europea?


Cerchiamo di mettere ordine. Su quasi 38 milioni di autoveicoli che circolano sulle strade italiane, oltre 7,5 milioni hanno omologazioni ante Euro 3, in pratica il 20,4%. La quota dei veicoli Euro 3 è quella più elevata: 15,4%. Sommati, gli Euro 5 e gli Euro 6 (le vetture dotate di motori di ultima generazione) rappresentano il 33,6% del mercato. Come si vede da questi dati, il parco italiano continua a invecchiare, anno dopo anno. L’ideologia arriva prima della ragione, che sarebbe quella di studiare di concerto tra istituzioni e filiera qualcosa di veramente efficace per risolvere il problema. Non è facile imporre a una famiglia a basso reddito di liberarsi della vecchia auto acquistandone (con quali soldi?) una nuova oppure di seconda mano di recente omologazione. Ma una soluzione deve essere trovata, sia agendo sulla leva fiscale sia sul contributo dello Stato sia sull’apporto delle stesse Case automobilistiche.

Il mondo dell’auto, insomma, è alle prese con un periodo di transizione verso una schema di mobilità futura più facile a descrivere (tutto sarà elettrico, circoleranno i robotaxi, le vetture saranno per lo più a guida autonoma, i droni consegneranno i pacchi…) che a realizzare (le condizioni pietose delle strade, la segnaletica fuorviante, le reti stradali e autostradali insufficienti, la burocrazia che allunga i tempi, le polemiche sull’alta velocità…).

Il libro dei sogni è aperto, tutti guardano avanti e investono miliardi di euro nel mondo del futuro, e si è così finito per perdere di vista la realtà di tutti i giorni. Chi ci governa, da Bruxelles a Roma e negli enti locali, pensa che basta far schioccare le dita perché tutto cambi: dall’anno tal dei tali spariranno tutti i veicoli diesel e in giro avremo solo macchine elettriche. Intento nobile ma, allo stato delle cose, ancora irrealizzabile. E poi, queste automobili elettriche: in giro se ne parla solo bene, la lobby è fortissima a tutti i livelli. E quando escono studi come quello, recente, dell’Università di Colonia, pubblicato dall’Istituto Ifo di Monaco, si fa di tutto per non parlarne.

Ancora una volta, in proposito, viene tirata in ballo la produzione a monte dell’energia. E nello studio si sottolinea come i veicoli elettrici, alla fine, abbiamo emissioni di CO2 significativamente più elevate rispetto a quelle con motore diesel, a causa delle notevole quantità di energia utilizzata nell’estrazione e nella lavorazione di litio, cobalto e manganese, materie prime fondamentali per la realizzazione delle batterie. Gli stessi ricercatori tedeschi, alla luce dello studio, hanno apertamente criticato la legislazione Ue che classifica le auto elettriche come “a emissioni zero”.


Tutto questo sta a dimostrare come si continui a brancolare nel buio e la confusione sia ancora tanta, con il drammatico risultato che si fanno leggi e si adottano provvedimenti che possono in parte premiare dal punto di vista politico, ma che nella realtà non fanno altro che peggiorare la situazione.

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