DS, ecco l’automobile modulare


Quando i progettisti della VGD, la Voiture à Grand Diffusion, la futura DS, ne immaginarono i contorni, non si posero limiti per ciò che riguardava i materiali da utilizzare ed il loro impiego.

Tra le idee che frullavano nella testa di André Lefebvre, l’ingegnere capo che presiedeva al progetto, c’era quella di costruire un’auto modulare, dove attorno a un telaio a piattaforma, pensato per ottenere un baricentro quanto più basso possibile, erano collocati elementi di carrozzeria facilmente smontabili e sostituibili, realizzati con materiali sempre più leggeri in funzione della collocazione sull’asse verticale.

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Un’idea geniale…

Ecco che a un telaio in acciaio di un certo spessore, necessario per conferire rigidità all’insieme, erano sovrapposti gli elementi di carrozzeria in acciaio, i cofani in alluminio (inizialmente anche quello posteriore), il lunotto posteriore in plexiglas e il tetto in vetroresina.

 Ciascuno di questi componenti era avvitato e non saldato alla scocca, che garantiva da sola la rigidità dell’insieme, mentre le guarnizioni in gomma isolavano gli altri elementi per ciò che riguarda i ponti termici, le vibrazioni e le conseguenti risonanze.

… e riproposta in seguito

La formula impostata da Lefebvre nel 1939 rimase valida sino alla fine della produzione della DS e fu anzi ereditata da altre vetture Citroën, come l’AMI6 e la stessa 2CV, caratterizzandole per semplicità costruttiva e facilità di riparazione

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