Addio “cloni”, l’offensiva indiana ora è reale

Auto e moto seguono logiche diverse, da sempre. Tecniche di guida differenti fanno sì che poche tecnologie possano essere scambiate tra MotoGp e Formula 1, ma anche i modelli destinati ai clienti di tutti i giorni seguono logiche personali. Quindi non è poi così strano che non tutte le nazioni che raggiungono il successo internazionale con la produzione delle quattro ruote riescano a fare altrettanto con veicoli che di ruote ne hanno invece due. L’esempio più vicino è quello della Francia, un colosso con i marchi Renault e Psa, che ha sempre fallito il tentativo di realizzare una moto “blu” e ha sempre dovuto accontentarsi di risultati positivi nel campo di ciclomotori e scooter. C’è poi la galassia orientale. Da qui, negli anni Settanta, è partita l’invasione dei quattro costruttori giapponesi di moto, seguita di qualche lustro da un’azione altrettanto incisiva a livello mondiale in campo automobilistico. Ma si tratta di un’eccezione, poiché altri Paesi non sono riusciti a ripetere l’impresa. Quando negli anni Novanta è partita l’offensiva low cost dalla Corea era lecito pensare che avrebbero potuto arrivare modelli a due ruote in grado di ripetere l’exploit di modelli come Daewoo Matiz o Kia Picanto, invece il tutto si è spento rapidamente sotto l’azione di un altro Paese dell’Estremo Oriente: Taiwan. Ora sarebbe lecito aspettarsi di assistere a un’invasione a tutto campo da parte dei cinesi, ma in realtà nessun costruttore è ancora riuscito a conquistarsi uno spazio importante in uno dei nostri mercati, nonostante non manchino le tecnologie e i numeri. Qualche possibilità in più sembra averla l’India, non nuova a incursioni sul nostro territorio, ma ora molto meglio organizzata. Se l’annunciata minaccia dell’ultraeconomica Tata Nano non è mai stata tale, le affermazioni sono arrivate prima con la costruzione delle piccole auto Suzuki assemblate dalla Maruti e in seguito indirettamente con l’acquisizione del capitale di Jaguar e Land Rover. Un po’ diverso è il panorama motociclistico, visto che le indiane sono state protagoniste nel recente passato di significative scalate delle classifiche. È successo due volte nel segmento degli scooter, in entrambi i casi con aziende (prima Bajaj poi Lml) che avevano prodotto su licenza le Vespa e dopo travagliate vicende hanno approfittato degl spazi lasciati liberi da Piaggio per piazzare i loro cloni. Ma adesso il panorama è cambiato e due Case sono pronte a cercare un proprio spazio con modelli originali. Sono la Royal Enfield, storico nome inglese sopravvissuto grazie alla produzione di modelli classici, rimasti esteticamente uguali a quelli degli anni Cinquanta, ma progressivamente aggiornati per superare le sempre più restrittive normative ambientali. Quelle resteranno in listino, ma presto si aggiungerà la Himalayan, una monocilindrica 400 con impostazione a metà strada tra l’enduro e lo scrambler, ordinabile da metà marzo a prezzi che si annunciano molto competitivi. Abbandonata la replica della Vespa Px, Bajaj torna invece con la Dominar, una 400 stradale dallo stile contemporaneo che utilizza un motore di razza, derivato da quello che la Casa utilizza per le austriache Ktm assemblate su licenza per i mercati asiatici. Anche in questo caso il prezzo sarà da attacco, se si considera che in India è in listino a meno di 2.000 dei nostri euro.

Valerio Boni

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